INTERVIEW : 2025-03-14 Joseph Arthur «Creare è una forma di lotta con sé stessi» (by Francesco Brusco)


La «letter of reference» è uno strumento particolarmente apprezzato in tutti quei contesti in cui l’affidabilità, la competenza e il valore di una persona devono essere attestati da chi l’ha conosciuta professionalmente. Quella di Joseph Arthur, cantautore, chitarrista e pittore, reca in calce più d’una firma autorevole: in ordine cronologico troviamo Peter Gabriel, suo scopritore a metà degli anni Novanta; Lou Reed, sostenitore e poi amico; Michael Stipe, Peter Buck e Ben Harper, che con lui hanno condiviso palchi e sale d’incisione.

Ogni firma è un sigillo d’approvazione lungo il percorso di un artista che si muove con disinvoltura tra la dimensione collettiva (attualmente è il frontman dei Silverlites, supergruppo con Peter Buck, Rich Robinson e Barrett Martin) e quella individuale, consapevole dei rispettivi margini di negoziazione nella gestione della pratica creativa: «C’è sempre una sorta di lotta, esterna o interna, in ogni atto di creatività. Se hai un team di collaboratori, ci saranno varie opinioni, vari gradi di entusiasmo da parte delle persone coinvolte, varie personalità che entrano in conflitto. Allo stesso modo, se sei da solo avrai un altro tipo di lotta interna, con altrettante voci che discutono, litigano, motivano… Che tu faccia arte individualmente o in gruppo c’è sempre un bilancio di agio e difficoltà. Ma credo di aver sempre ottenuto il controllo sulle mie creazioni».

IN VESTE individuale si prepara alle tre date italiane dal 14 al 16 (Roma, Siena e Napoli nell’ordine), durante le quali porterà in scena il suo one man show incentrato sull’uso dei loop, pratica di cui riconosce una certa influenza anche in fase compositiva: «Dipende se una canzone può funzionare o meno con una singola progressione di accordi. Ad esempio, se quella del verse è la stessa del chorus, posso costruire la canzone vocalmente variando su una stessa sequenza, evitando di inserire un middle eight a contrasto»; dal vivo, questo gli consente un diverso approccio alla performance: «posso lasciare la chitarra, prendere il microfono in mano e concentrarmi sul canto».
La performance dal vivo è legata al momento presente, mentre registrare un disco comporta un processo la cui fine equivale alla morte del tuo lavoro

DA PITTORE, gli è facile paragonare l’uso di queste tecnologie con quello degli strumenti e dei materiali artistici, «pastelli a olio, acrilici, matite, carboncini, ognuno ti dà un’opzione… vedo la musica in modo simile. Attualmente sto lavorando a un album incentrato sull’acustica, ma posso ugualmente decidere di utilizzare programmazioni e drumbeat: non sono dipendente dall’elettronica, né la demonizzo, dipende dai casi e dall’umore del disco».
Un’altra prassi che lo contraddistingue è quella dell’instant recording, che gli permette di distribuire le registrazioni dei live alla fine dei concerti, rinnovando a ogni occasione le versioni dei suoi brani e rendendo assolutamente dinamico il rapporto tra palco e studio di registrazione: «Bob Dylan ha detto che i suoi dischi sono blueprints [cianotipie, stampe fotografiche primordiali, ndr] e nessuno di essi rappresenta la miglior versione delle sue canzoni. La performance dal vivo è legata al momento presente, mentre registrare un disco comporta un processo la cui fine equivale in un certo senso alla morte del tuo lavoro, anche se dal punto di vista dell’ascoltatore è il momento della “nascita”. Ma la canzone resta viva, e può evolversi dal vivo: da autore ci trovi nuove cose, e ti torturi perché pensi che il disco non sia più valido quanto il live! Ma in definitiva si tratta di due forme d’arte diverse… Detto questo sono pochi i casi in cui preferisco un album dal vivo di una band piuttosto che un album in studio, perché il live è un’esperienza tridimensionale che coinvolge artista e audience, laddove l’album è una performance catturata e sigillata su un supporto sonoro».

TUTTO CIÒ ha a che fare anche con il persistente concetto di autenticità, che Arthur vede maggiormente realizzato nella performance dal vivo, mentre considera lo studio di registrazione «il luogo della manipolazione: è letteralmente quello che fai, manipolando, comprimendo il suono, ecc… fai cose per quasi simulare l’eccitazione di una situazione live». Anche in questo caso, egli ricorre ad analogie tra musica e pittura, due arti che «si fondano entrambi sul principio della stratificazione. In pittura hai gli strati di colore su tela, in studio di registrazione hai il gioco di sfondo e figura nel mix… sono due arti gemelle, una più vicina all’occhio, l’altra all’orecchio». E per entrambe le arti, i suoi principi fondativi sono gli stessi: «Einstein parlava di “azioni spettrali a distanza”… credo che questa frase si adatti perfettamente al mistero della creazione artistica, il cui principio, per me, è di attingere a una fonte che non mi è dato conoscere, lasciarle sprigionare la sua carica e poi rifinirla con la consapevolezza della mia mente».






Comments

Popular Posts